La Cei ha diffuso le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici“.
Queste linee guida seguono la Circolare della Congregazione della Dottrina della Fede del 3 maggio 2011.
È molto interessare leggere il contenuto di questi documenti nella parte relativa ai rapporti con le autorità civili.
Nella lettera circolare del 3 maggio 2011 della Congregazione della Dottrina della Fede si legge che «L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».
Leggendo queste righe si sperava che la Cei prescrivesse ai Vescovi di denunciare alle autorità civili i casi di abusi sessuale di cui erano venuti a conoscenza.
Invece nelle linee guida della Cei si legge che «i Vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero».
Secondo la Cei le autorità giudiziarie possono richiedere «eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico (…) ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro». Inoltre per la Cei «rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del Vescovo previsto dal can. 489 CIC, e devono ritenersi sottratti a ordine di esibizione o a sequestro anche registri e archivi comunque istituiti ai sensi del CIC, salva sempre la comunicazione volontaria di singole informazioni». La Cei – in queste linee guida – ribadisce l’aderenza di queste posizione con quanto sostenuto dalla Congregazione nella citata circolare nella parte in cui si afferma che «va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale». La Cei però ricorda che «nell’ordinamento italiano il Vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida».
Lo stesso Mons. Crociata – segretario generale della Cei – presentando il documento ha ribadito che «non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale: formalizzare la richiesta al vescovo di denunciare i casi di abuso vuol dire andare contro l’ordinamento, del resto su questo problema la cooperazione con la magistratura è un fatto ordinario» ed inoltre che «è chiaro a tutti noi vescovi – ha aggiunto Crociata – che bisogna collaborare con le autorità civili, ciò non vuol dire che noi si possa operare in modo difforme da quanto prevede la legislazione».
Ovviamente i vescovi – non essendo dei pubblici ufficiali – non sono obbligati in base alla legge (art. 357 – 358 codice penale) a denunciare un reato.
Di certo – se in questo documento interno – fosse stato fatto obbligo ai vescovi di denunciare i casi di abuso sessuale non sarebbe stata una prescrizione «contro l’ordinamento» o «difforme da quanto prevede la legislazione» per usare le stesse parole di Mons. Crociata: non ci sarebbe stata nessuna violazione di legge in tal caso.
Inoltre anche se il privato cittadino (quale può considerarsi un Vescovo) non ha l’obbligo di denunciare un reato di cui è a conoscenza, il “buon cittadino” rompendo il muro di omertà non andrà mai contro la legge se denuncia un reato.
Comunque se il problema è la legge che non assegna ai vescovi lo “status” di pubblico ufficiale, provocatoriamente si potrebbe pensare di assegnare ai prelati lo status di “incaricato di pubblico servizio“: considerando l’onnipresenza di membri del clero anche in cerimonie civili l’idea non sarebbe infondata.
Sebbene lo stesso Crociata ha ribadito che «su questo problema la cooperazione con la magistratura è un fatto ordinario» le cifre da lui stesso presentate suggeriscono che sia necessaria una maggiore “cooperazione”. Infatti in Italia i casi di pedofilia da parte di chierici nel periodo 2010-2011 sono stati fino ad ora 135 e solo 77 casi sono stati denunciati alla magistratura.