Nell’ambito del riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali attualmente – tra i ventisette Stati membri dell’Unione europea – sedici prevedono il riconoscimento delle unioni civili, sei prevedono il matrimonio ed otto prevedono l’adozione.
Tra gli stati a non avere ancora legiferato in materia di coppie omosessuali (unioni civili, matrimonio o adozione) l’Italia è assieme a Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia.
Ovviamente – in materia di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuale – hanno avuto molta importanza le varie convenzioni, raccomandazioni, risoluzioni e sentenze dell’Unione Europea ed anche – nel caso delle sentenze – dei nostri giudici.
Dal 1990 è entrata lentamente in vigore negli stati membri la Convenzione di Schengen del 1985 che prevede la libera circolazione di merci e persone all’interno dei trenta paesi dell’area Schengen. La Convenzione di Schengen è molto importante – seppur indirettamente – anche in materia di riconoscimento del matrimonio omosessuale. Infatti un extracomunitario potrebbe – ad esempio – contrarre matrimonio omosessuale in Spagna con un cittadino comunitario. In virtù del matrimonio contratto potrebbe ottenere il permesso di soggiorno in Spagna che permetterebbe – considerata la Convenzione di Schengen – di circolare e soggiornare in tutti i paesi aderenti alla Convenzione (ivi compresi quelli in cui non è possibile il matrimonio omosessuale). Perciò – in un’Europa profondamente cambiata nel corso degli anni ed in cui è possibile viaggiare e soggiornare liberamente – si pone il problema di uniformare gli istituti giuridici sulle coppie omosessuali.
Con la Raccomandazione n.1474/2000 del Consiglio d’Europa compare per la prima volta il termine “omofobia” che – si scrive – è propagandata da leader religiosi o politici per giustificare l’esistenza di leggi discriminatorie e comportamenti aggressivi. Nella stessa raccomandazione viene chiesto – per la prima volta – di adottare delle leggi che prevedano le unioni civili anche per gli omosessuali.
In materia di matrimonio sessuale un importante pronunciamento è stato fatto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la Sentenza 30141/04. Horst Michael Schalk e Johann Franz Kopf erano una coppia omosessuale austriaca, che – non esistendo in Austria il matrimonio omosessuale – si rivolsero alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per vedere riconosciuto il loro diritto a sposarsi in base alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Riguardo il matrimonio, la “Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali” all’articolo 12 prescrive che «A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto»).
A riguardo l’opinione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza sul caso specifico è stata la seguente: «Tenuto conto dell’articolo 9 della Carta, di conseguenza, la Corte non ritiene che il diritto al matrimonio sancito dall’articolo 12 deve in ogni caso essere limitato al matrimonio tra due persone di sesso opposto. Di conseguenza, non si può dire che l’articolo 12 è inapplicabile alla denuncia delle ricorrenti. Tuttavia, come stanno le cose, la questione se consentire o meno il matrimonio omosessuale viene lasciato alla regolamentazione dalla legge nazionale dello Stato contraente.
A tal riguardo la Corte osserva che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire in gran parte da una società all’altra. La Corte ricorda che non deve correre a sostituire il proprio giudizio in luogo di quello delle autorità nazionali, che sono nella posizione migliore per valutare e rispondere ai bisogni della collettività (v. B. e L. v Regno Unito, citata , § 36)».
Quindi la Corte in sostanza ha stabilito che – in base all’articolo 9 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali – il matrimonio è un diritto anche per le persone dello stesso sesso ma – a tal proposito – resta salva la regolamentazione della legge nazionale dello stato contraente.
Con la Risoluzione di Strasburgo sui diritti e la dignità degli omosessuali del 2006 indirizzata a 25 paesi membri dell’Unione Europea e alla Commissione europea di Bruxelles, il Parlamento sollecita ad adottare disposizioni legislative volte a porre fine alle discriminazioni subite dalle coppie dello stesso sesso in materia di successione, proprietà, locazione, pensioni, fiscalità, sicurezza sociale ecc.
Nella strada del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali un passo storico è stata la sentenza 138/2010 della Corte costituzionale.
Una coppia omosessuale di Venezia aveva richiesto di accedere al matrimonio mancando nel nostro ordinamento un divieto esplicito di matrimonio per persone dello stesso sesso.
Sebbene da parti del mondo cattolico si affermi che il matrimonio omosessuale leda gli interessi dell’intera società e non ci sarebbe nessun interesse da parte dello Stato a legittimare questo genere di unioni, per la Corte «la libertà di sposarsi o di non sposarsi, e di scegliere il coniuge autonomamente, riguarda la sfera dell’autonomia e dell’individualità, sicché si risolve in una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, se non sussistono interessi prevalenti incompatibili, nella fattispecie non ravvisabili».
Davanti a chi paventa la possibilità che il matrimonio omosessuale comporti il diritto di adottare la Corte ha ribadito che «l’unico importante diritto, in relazione al quale un contrasto si potrebbe ipotizzare, sarebbe quello, spettante ai figli, di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto corrispondente anche ad un interesse sociale. Tale interesse, tuttavia, potrebbe incidere soltanto sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi. Si tratterebbe, però, di un diritto distinto rispetto a quello di contrarre matrimonio, tanto che alcuni ordinamenti, pur introducendo il matrimonio tra omosessuali, hanno escluso il diritto di adozione. In ogni caso, la disciplina di tale istituto nell’ordinamento italiano, ponendo l’accento sulla necessità di valutare l’interesse del minore adottando, rimette al giudice ogni decisione al riguardo».
A chi collega il matrimonio alla possibilità di procreare, per la Corte «se la finalità perseguita dall’art. 3 Cost. è quella di vietare irragionevoli disparità di trattamento, la norma implicita che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, così seguendo il proprio orientamento sessuale (non patologico né illegale), non ha alcuna giustificazione razionale, soprattutto se posta a confronto con l’analoga situazione delle persone transessuali che, ottenuta la rettifica dell’attribuzione del sesso ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita (il Tribunale ricorda che la conformità a Costituzione della citata normativa è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 165 del 1985)» e perciò «non sarebbe giustificabile la discriminazione tra omosessuali che non vogliono effettuare alcun intervento chirurgico di adattamento, ai quali il matrimonio è precluso, ed i transessuali che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare».
Per lo stesso motivo «sarebbero prive di fondamento, quindi, le tesi che giustificano l’implicito divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacità procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. Al riguardo, sarebbe sufficiente sottolineare che la Costituzione e il diritto civile non prevedono la capacità di avere figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero l’assenza di tale capacità come condizione d’invalidità o causa di scioglimento del matrimonio, sicché quest’ultimo e la filiazione sarebbero istituti nettamente distinti» ed inoltre «né sarebbe possibile che “società naturale” sia intesa come luogo della procreazione, in quanto il matrimonio civile non sarebbe più istituzionalmente orientato a tale finalità. Dal 1975 l’impotenza non costituisce causa d’invalidità del matrimonio, se non quando sia materia di errore in cui sia incorso l’altro coniuge (art. 122 cod. civ.). Inoltre, possono contrarre matrimonio anche le persone che, avendo cambiato sesso, sono inidonee alla generazione e quelle che, a causa dell’età, tale attitudine più non hanno. In definitiva, la procreazione sarebbe soltanto un elemento eventuale nel rapporto coniugale e ciò dimostrerebbe quanto lontano sia il concetto di famiglia da accogliere nell’ambito dell’art. 29 Cost. rispetto a quello della tradizione giudaico-cristiana. Il matrimonio sarebbe, senza dubbio, l’unione di due esistenze, i cui fini fondamentali coincidono con i diritti e i doveri che i coniugi assumono al momento della celebrazione in base all’art. 143 cod. civ., fini ai quali è estranea la prospettiva, soltanto eventuale, della procreazione, altrimenti si dovrebbe considerare impossibile la celebrazione di un matrimonio tutte le volte in cui sia naturalisticamente impossibile per i nubendi procreare».
Inoltre «le opinioni contrarie al riconoscimento della libertà matrimoniale tra persone dello stesso sesso sulla base di ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura, non potrebbero essere condivise, sia per le radicali trasformazioni intervenute nei costumi familiari, sia perché si tratterebbe di tesi pericolose, in passato utilizzate per difendere gravi discriminazioni poi riconosciute illegittime, come le disuguaglianze tra i coniugi nel diritto matrimoniale italiano anteriore alla riforma o le discriminazioni in danno delle donne».
La disposizione dell’art. 29 della Costituzione stabilisce, nel primo comma, che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Alcuni ritengono che l’espressione “società naturale” identifichi la famiglia eterosessuale mentre per la Corte Costituzionale «con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere» ed inoltre che «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi».
Per la Corte Costituzionale «come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso».
In sintesi il concetto di matrimonio e di famiglia presenti nella Costituzione sono quelli legati alla coppia eterosessuale proprio perché i Costituenti non affrontarono la questione delle coppie omosessuali. Ciò non significa che il matrimonio omosessuale sia anticostituzionale proprio perché – per la Corte – la stessa Costituzione è dotata della duttilità dei princìpi costituzionali. Ovviamente «questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa».
Perciò – sebbene il matrimonio omosessuale non sia vietato dalla Costituzione – non rientra tra i compiti della Corte Costituzionale introdurlo (e per questo motivo la domanda della coppia omosessuale è stata rigettata) ma «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni».
Il matrimonio gay ottiene il via libera da parte del Parlamento europeo con la risoluzione del 13 marzo 2012 sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea secondo cui gli Stati membri non devono dare definizioni restrittive di “famiglia” «con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli; ricorda che il diritto dell’UE viene applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
L’ultimo pronunciamento in materia di matrimonio omosessuale viene dai giudici della Suprema Corte di Cassazione che erano stati chiamati a decidere sulla vicenda di una coppia, che nei Paesi Bassi aveva contratto matrimonio all’Aja e che aveva chiesto la trascrizione delle nozze nel nostro Paese. Secondo la Corte – nella sentenza 4184/2012 Corte di Cassazione – «i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia – quali titolari del diritto alla vita famigliare e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
I giudici – pur bocciando la richiesta della coppia omosessuale di trascrivere in Italia le nozze celebrate nei Paesi Bassi – riconoscono che la la diversità di sesso non è più un presupposto “indispensabile” per avere diritto alle tutele di legge. Per i giudici la relazione stabile di una coppia omosessuale deve essere ricondotta alla nozione e, appunto, alle tutele proprie della “vita familiare” come qualsiasi coppia eterosessuale.
Alla fine di questo percorso fatto di risoluzioni, raccomandazioni, convenzioni e sentenze, la parola resta al Parlamento che – si spera – ha il compito di dividere il divario con gli altri Paesi UE e – soprattutto – adottare un provvedimento che è approvato anche dalla maggioranza degli Italiani.
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