L’omofobia è un male che colpisce anche gli eterosessuali

Subito dopo il suicidio di Andrea, il ragazzo di quindici anni che frequentava il Liceo Cavour di Rome, molte parole si sono dette e molti giornali hanno scritto (non a tutti i torti) che si fosse suicidato perché deriso per la sua omosessualità.
I compagni hanno subito smentito questa versione e – come riporta Tempi – la preside dell’istituto, Tecla Sannino, ha giudicato «inopportune le reazioni da parte di alcune associazioni culturali, come la fiaccolata in difesa dei gay oggetto di violenze organizzata dal Circolo Mario Mieli». I compagni hanno invece scritto questa lettera: «Non era omosessuale, tanto meno dichiarato, innamorato di una ragazza dall’inizio del liceo. Lo smalto e i vestiti rosa, di cui andava fiero, erano il suo modo di esprimersi. La pagina facebook ,dove erano pubblicate citazioni di A., era stata creata per incorniciare momenti felici perché A. era così: portava il sorriso ovunque andasse; peraltro “la pagina aperta contro di lui da chi lo aveva preso di mira” (citazione dal Messaggero) è un’accusa non fondata. I professori hanno sempre rispettato il proprio ruolo e non hanno mai espresso giudizi sulla sua persona. Il Cavour non è mai stato un liceo omofobo in quanto fino a quando i fondi sono stati sufficienti, alcune classi hanno preso parte ad un progetto sulla sessualità organizzato dalla ASL e approvato dal collegio docenti. Inoltre non si sono verificati episodi manifesti di bullismo nell’istituto negli ultimi anni. Esprimiamo rammarico per la diffusione di notizie false e desideriamo che non si speculi sul nostro dolore».
Insomma sarebbe quasi una “omofobia immaginaria” ma la versione dei genitori di Andrea è alquanto diversa. In una lettera dell’avvocato Eugenio Pini così la famiglia descrive il retroscena del gesto: «Era da tempo costretto a subire vessazioni e violenze da parte dei coetanei, e ha consapevolmente scelto di interrompere quel gioco». Nella lettera si parla di «persecuzioni sulla sfera sessuale del tutto immotivate e non corrispondenti al vero» e di «cieca ed insana violenza scaturita tra i banchi di scuola» chiedendosi come mai all’interno della stessa scuola nessuno «sia stato in grado di percepire la violenza ed il disagio, non sia stato in grado di segnalarlo, non abbia fatto niente per impedirlo». In una conferenza stampa la madre rivela nuovi elementi: «L’ho saputo soltanto dopo la morte, ma qualcuno sui muri della sua scuola aveva scritto: “Non vi fidate del ragazzo con i pantaloni rosa, è frocio”. Un docente fece cancellare la scritta e nessuno mi avvertì». Ed ancora: «Dell’esistenza di una pagina Facebook intitolata al “ragazzo con i pantaloni rosa” e destinata a schernire mio figlio non sapevo nulla, ma ho saputo, quando ancora Andrea era tra noi, che qualcuno gli aveva rubato la password per accedere alla sua pagina Facebook, quella personale, e che in un’occasione qualcuno è entrato direttamente in una sua conversazione. Mio figlio una volta mi raccontò che gli era stato rubato e restituito il suo computer personale».
La madre smentisce che il proprio figlio fosse omosessuale: «Non avevo dubbi sull’identità sessuale di Andrea: gli piacevano le ragazze, e lui sapeva che a me poteva dire tutto. Era stato cresciuto nella libertà e nella tolleranza. Aveva un astuccio rosa, e allora? Era pieno di fantasia, aperto, a nove anni si era iscritto alla biblioteca comunale e da allora si era letto mille libri. Era un passo avanti gli altri, mi sembrava grande. I jeans rosa erano il frutto di una lavatrice sbagliata, non li usava da marzo. E lo smalto sulle mani fu una mia iniziativa: si mangiava le unghie e doveva riprendere ad esercitarsi al piano. Ho grandi sensi di colpa, adesso».
Nonostante Andrea non fosse omosessuale i compagni lo ritenevano tale. Dice sempre la madre «C’è qualcuno che ha usato le sue convinzioni sulla sfera sessuale di mio figlio per premere il grilletto contro di lui» ed inoltre «In quella scuola molti ragazzi pensano così: non sei rozzo, non sei sboccato, non fumi, allora non sei figo. Anzi, sei frocio».
Nonostante i dirigenti del Liceo Cavour vogliano respingere l’immagine di una scuola omofoba, la madre lancia delle accuse anche nei confronti degli insegnanti del figlio: «Ero convinta fosse un ragazzo integrato e ad ogni colloquio gli insegnanti me lo facevano credere. Adesso devo leggere docenti dire che mio figlio aveva la forza per difendersi dalle violenze quotidiane. E perché non mi hanno mai detto nulla? Perché devo scoprire adesso che Andrea tre settimane fa aveva già tentato il suicidio? Un insegnante, voglio dirvelo, lo riprese durante un’interrogazione per quel benedetto smalto alle unghie: “Ma lo sa tua mamma che lo porti?”». Proprio per questo la volontà dei genitori è che si faccia chiarezza: «Voglio che i responsabili del bullismo siano individuati, anche se fossero dei minorenni. E che siano riconosciute le responsabilità della scuola», dice la madre.
La vicenda di Andrea conferma che la lotta contro le discriminazioni e contro l’omofobia non riguarda solamente gli omosessuali ma ognuno di noi anche perché si può essere vittime di omofobia pur non essendo omosessuali. Proprio per questo sarebbe opportuno anche in Italia l’introduzione nelle scuole dell’insegnamento della “morale laica” come in Francia per formare cittadini tolleranti.

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9 pensieri su “L’omofobia è un male che colpisce anche gli eterosessuali

  1. Alessandro A. Galvani

    Grazie di cuore per aver riportato la notizia della conferenza stampa.
    Perchè quei cari luridi professionisti di Tempi stranamente stanno tacendo.
    Non devono aver trovato l’autobus per andare alla conferenza, forse.
    O magari se la stan facendo sotto per il lerciume che han messo in giro…
    Grazie per aver diffuso i contenuti delle dichiarazioni della madre.

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    1. Cagliostro Autore articolo

      E di cosa? Io penso solo che in una vicenda che inevitabilmente ha occupato lo spazio dei media sia importante fare chiarezza.
      Capiamoci, purtroppo all’inizio le notizie sono frammentarie e quindi si può scrivere anche qualcosa di inesatto. Ad esempio i famosi “pantaloni rosa” di cui si parlava all’inizio non esistevano: la madre ha detto che era solo un lavaggio di jeans finito male. Lo stesso smalto per le unghie era uno smalto messo in modo che il ragazzo non si mangiasse le unghie (suonava il piano). Ovviamente col tempo possono emergere sempre più particolari. Se è giusto riportare la lettera scritta dai compagni di classe (che mi sembrano un po’ “imbeccati” a dire la verità), credo che sia sacrosanto riportare quanto ha detto la madre (che credo sia la prima che abbia il diritto di intervenire). Ovviamente chi cerca solo (nel suo piccolo) di fare informazione riporterà tutte le voci coinvolte: chi invece non vuole informare ma orientare come Tempi tenderà a nascondere quanto di scomodo ci può essere. Perché credo che quanto ha detto la madre sia molto scomodo.

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  2. antares1989

    Salve. Premetto che non sono uno psicologo, ma mia madre lo è, e abbiamo parlato molte volte dei suicidi. Mi ha sempre confermato che, nella società occidentale, chi si uccide di norma ha una propensione a farlo. Per esempio, un ragazzo che si uccide per una delusione amorosa si sarebbe suicidato comunque, anche per un altro motivo, perché l’impulso era purtroppo nato. Spero di essermi spiegato. Quanto al fatto specifico, io penso che Andrea avesse molti veri amici, e se questi sostenevano che non era gay io gli crederei. Mentre si può dubitare delle alte sfere di un istituto che non vuole passare per omofobo, credo che degli amici più intimi sia lecito fidarsi. Che poi venisse preso in giro semplicemente per il modo di vestire è un fatto grave, certo, ma mi sembra esagerato dichiararlo omofobia. È chiaro che se vedo un ragazzo vestito in un modo particolare, con movenze particolari e una voce particolare mi sorge qualche dubbio, ma senza la certezza non potrei mai dire che è sicuramente gay. Le persone stupide esistono, purtroppo, ma in questo caso credo che dei semplici bulli vedano oggi nel gay quello che prima era il “secchione”: una figura debole e particolare da vessare per hobby. Ma nessuno ha mai gridato alla “secchionefobia”.

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    1. Cagliostro Autore articolo

      Gentile Antares,
      non sono psicologo e non posso affermare se esista o meno una propensione al suicidio. Credo però che esistano delle persone più o meno sensibili ed è compito della società fare in modo che ciascuno si possa sentire a proprio agio ed accettato nel contesto in cui vive a prescindere da ogni situazione personale.
      Non posso giudicare se Andrea avesse degli amici intimi però penso che testimonianza debba essere preso in considerazione per avere un quadro che sia il più possibile chiaro.
      Non so se Andrea venisse preso in giro per il suo modo di vestire: la madre ha smentito il fatto dei “jeans rosa” e credo che sia giusto crederle. Ad ogni modo la madre ha lanciato un elemento concreto: ossia che sul muro della scuola ci fosse una scritta marcatamente omofoba.
      Ora concordo che i bulli vedano oggi nel gay quello che prima era il secchione e nessuno ha parlato di “secchionefobia”. Però credo che possiamo concordare che il bullismo esiste e possiamo sbizzarrirci a trovare delle categorie: omosessuali, disabili, secchioni, stranieri, etc.
      Allo stesso modo non possiamo negare che il bullismo si esercita anche con l’uso di insulti prettamente omofobi anche verso gli stessi eterosessuali. Per questo motivo – a prescindere che Andrea fosse o no gay (è veramente un elemento insignificante) – è importante che la scuola insegni al rispetto di tutti a prescindere dalle loro caratteristiche (orientamento sessuale, origini etniche, condizioni sociali, etc.). Ovviamente la scuola dovrà insegnare il rispetto verso ogni categoria “debole” ed in ciò ovviamente anche verso gli omosessuali che spesso subiscono vessazioni nella società.
      Grazie per il commento

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      1. antares1989

        Mi perdoni, mi permetto di replicare. Lo Stato deve, come ha detto lei, giustamente fare in modo che tutti si sentano al sicuro, ma come poter fare? Chi può stabilire se un’offesa è potenzialmente pericolosa e un’altra no? Se qualcuno avesse detto “frocio” a me ci sarei passato sopra tranquillamente, se fossi venuto a sapere di una pagina contro di me avrei agito per vie legali, ma non avrei mai pensato al suicidio. Nella maggior parte dei casi il suicida sembra sereno. A volte, anzi, si comporta da “maschio alfa”, per dissimulare la paura che ha dentro. Siamo tutti diversi e i sentimenti sono diversi, quindi mi chiedo di nuovo: come può una legge stabilire concretamente quali offese sono innocue e quali pericolose?

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        1. Cagliostro Autore articolo

          Non ho nulla di cui doverla perdonare e lei può replicare quanto ritiene opportuno: le discussioni sono sempre belle ed utili.
          Lei mi chiede come può fare lo Stato in modo che ciascuno si senta al sicuro. Ci sono due aspetti: uno legale ed uno educativo.
          Per quanto riguarda il primo, alcuni insulti come “frocio, terrone, negro di m…., etc.” sono offensivi e quindi si può procedere per vie legali. Lei mi potrebbe chiedere come stabilire se un insulto (terrone ad esempio) sia offensivo o meno: a questo di solito ci pensa la Cassazione con le sue sentenze. Il fatto che un insulto sia “offensivo” o meno è ininfluente: di certo non mi ammazzo se sono chiamato terrone ma l’offesa resta tale.
          Il secondo aspetto (certamente più attinente al caso in questione) riguarda l’educazione. Gli educatori (insegnanti, genitori, preti, etc.) dovrebbero di certo insegnare al rispetto verso chiunque a prescindere dalle caratteristiche personali (orientamento sessuale, origini etniche, condizioni sociali, etc). Ovviamente un genitore potrebbe anche disinteressarsi di educare il figlio ma la scuola (che ha il compito anche di formare i cittadini del domani) non può e non deve esimersi dal compito di creare cittadini rispettosi.
          In tutto questo è ininfluente se un’offesa sia potenzialmente pericolosa nel caso specifico o meno. Se qualcuno mi chiamasse frocio – come ha giustamente detto lei – ci passerei sopra ma l’offesa ha in sé una potenziale pericolosità perché – offesa su offesa – si crea quel clima di intolleranza in cui è facile che alla fine possa scoppiare qualcosa (il suicidio come l’aggressione).
          In un clima in cui ci fosse rispetto (ed in cui le offese fossero al bando) ci sarebbe una società più civile. Questo ovviamente non passa solo con le leggi ma soprattutto con campagne di educazione.
          Quindi alla sua domanda finale in cui si chiede come possa una legge stabilire concretamente quali offese sono innocue e quali pericolose, la legge non si pone questo dubbio perché ogni offesa è considerata potenzialmente pericolosa (per l’individuo a cui è rivolta e per la società nel complesso) e quindi degna di sanzione. Nello specifico del caso di Andrea invece credo sia principale il ruolo dell’educazione.

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          1. antares1989

            Credo che lei abbia ragione. Tuttavia mi riesce difficile immaginare di condannare un bambino che dice “terrone!” ad un altro. L’insegnante che sente ovviamente lo riprenderà, ma vale forse la pena intentare un processo pagando avvocati per riparare all’insulto? Sotto un punto di vista ideale e morale sì, vale la pena, ma credo che i genitori del “terrone” non arriveranno a farne un caso di Stato. Chiaramente, ognuno decide per sé. Quanto all’educazione, il genitore che non la insegna al figlio è da biasimare, così come la scuola. Di norma, però, gli insegnanti sono abbastanza intelligenti e professionali da istruire i ragazzi sotto questo punto di vista. Almeno, la mia esperienza scolastica è stata così. Per quanto mi riguarda, in attesa di avere figli, ai bambini che seguo a catechismo insegno il rispetto per tutti. Il problema fondamentale, e tuttora insolubile, è individuare i soggetti deboli e fragili, che spesso si nascondono abilmente sotto una maschera di sicurezza.

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