SANTIAGO, Cile – Ogni volta che il cellulare squilla, Angela Erpel si inquieta. A volte all’altra estremità è un’adolescente spaventata o una madre disperata di tre bambini. Ci sono anche quelli arrabbiati che chiamano facendo ascoltare il suono di bambini che piangono o inviano messaggi di testo con le immagini di feti abortiti.
Allora la signora Erpel, 38 anni, sociologa volontaria al Chile’s Safe Abortion Hot Line si concentra e stabilisce un dialogo familiare sull’uso di misoprostolo, un farmaco che induce un aborto medico.
«Non diamo una giudizio morale o una consulenza: forniamo solo informazioni», dice.
Dal momento che la hot line è iniziata nel 2009, i volontari sparsi in tutto questo lungo e sottile Paese si sono alternati a rispondere alle chiamate ogni sera dalle 7 alle 23 da parte di donne che cercano informazioni sull’aborto. Ci sono state più di 12mila chiamate fino ad ora.
In un Paese dove l’aborto è del tutto illegale, anche in caso di stupro o quando la vita di una donna è in pericolo, la hot line è un tentativo rischioso. Operando in una zona grigia del diritto, i volontari affrontano una scoraggiante condanna al carcere se una conversazione vira troppo da una linea guida approvata da un avvocato. La hot line ha già avuto tre cause legali intentate contro di essa anche se tutte sono state poi lasciate cadere.
Secondo la legge, abortire comporta una pena da cinque a dieci anni di carcere, a seconda dei casi, mentre i medici e tutti coloro che praticano un aborto o cooperano ad abortire rischiano fino a 15 anni, dicono i Pubblici Ministeri. In pratica, tuttavia, meno di 500 casi sono stati perseguiti nel corso degli ultimi anni. Continua a leggere
Nel Cile dell’aborto illegale una hot line per le donne che vogliono abortire: con tutti i rischi annessi.
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