Il mondo cattolico: “La sentenza della Cassazione è un via libera alle adozioni gay. Anzi no”.

La sentenza della Cassazione che ha confermato l’affidamento di un bambino alla madre omosessuale convivente con la sua campagna ha provocato la reazione, per opposti motivi, sia del mondo laico che di quello cattolico.
Il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire ha titolato “Figli alle coppie gay? Sentenza pericolosa” domandandosi: «Cosa augurare a questo bambino? Di restare a vivere con la mamma e con la compagna della mamma – così come ha stabilito la Corte di Cassazione – o di venir affidato al papà violento che se n’è andato quando il figlio aveva dieci mesi, rinunciando a vederlo e a educarlo?».
Sempre sul quotidiano dei vescovi Carlo Cardia ha scritto che il bambino «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre».
Si spinge a parlare di adozione gay Luigi Amicone che su Tempi ha scritto addirittura che «anche in Italia viene rimosso l’ostacolo all’adozione di bambini da parte delle coppie gay» mentre mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, intervistato da Radio Vaticana ha affermato che «l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali, porta il bambino ad essere una sorta di merce».
Il giorno dopo la stampa cattolica invece sembra quasi ridimensionare la portata della sentenza della Suprema corte. Paolo Ferrario, sempre su Avvenire, scrive che «il giorno dopo è il momento delle precisazioni e delle retromarce» precisando che «gli entusiasmi di chi ha preteso di leggere la sentenza come un implicito lasciapassare alle adozioni da parte delle coppie omosessuali» sono «niente di più lontano dalla realtà».
Parole ben più dure quelle usate da Giuseppe Anzani sempre sull’organo della Conferenza episcopale italiana: «Ma leggetela per favore, la sentenza 601/2013 della Cassazione che i commenti hanno messo con fretta a bandiera, nel bene o nel male, sul tetto della “famiglia gay”. Ma cosa c’entra, leggetela, sono tre paginette, e i problemi giuridici non sono neanche difficili da capire». Sempre per Anzani: «Che sciocchezza dire l’avallo della famiglia gay. Nel confronto delle negatività ricorrenti, il meno peggio può diventare il meglio praticabile. Il processo, per essere capito, va analizzato dal principio, con gli occhiali giusti puntati sul diritto dei protagonisti».
Parole più che condisibili quelle di Paolo Ferrario e Giuseppe Anzani però bisogna precisare che sono stati proprio il direttore di Tempi Luigi Amicone ed il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia monsignor Vincenzo Paglia a parlare di adozione da parte degli omosessuali: insomma se c’è stato “fuoco mediatico” si è trattato di “fuoco amico”.
Avvenire, resosi conto che la sentenza non è un “via libera” alle adozioni da parte delle coppie omosessuali, in un’intervista di Francesco Riccardi a Lorenza Violini, docente di diritto costituzionale all’Università statale di Milano, domanda: «In conclusione, non si può parlare di un “via libera” della Cassazione alle adozioni da parte di coppie gay».
Per capire che la sentenza della Corte suprema non potesse essere un “semaforo verde” per le adozioni da parte delle coppie omosessuali bastava leggere l’intervento del professore Carlo Rimini, ordinario di diritto privato all’università di Milano, su La Stampa secondo cui «nel nostro ordinamento, l’accertamento dell’interesse del minore è una valutazione dei fatti riservata ai giudici di primo e di secondo grado, la cui valutazione non può essere modificata dalla Cassazione».
Anche in assenza dell’intervento del professore Rimini bastava essere a conoscenza delle basi del diritto o leggere la sentenza per evitare di fare riferimento ad adozioni da parte di coppie omosessuali.

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