Nello Utah le leggi dello Stato proibivano le convivenze poligamiche ma – una sentenza del 13 dicembre 2013 del Tribunale Federale presieduta dal giudice Clark Waddoups ha dichiarato tali norme lesive del diritto alla privacy e della libertà religiosa.
Come riporta il Los Angeles Times la causa era stata intentata da Kody Brown, star del reality tv “Sister Wives”. Brown ha quattro “mogli” ed assieme hanno 17 figli ma è sposato legalmente solo con la prima, Meri Brown.
Il tema della poligamia ha forti implicazioni religiose perché – nello Stato dello Utah – è praticata dai mormoni più tradizionalisti: la convivenza poligamica comporta un solo certificato di matrimonio mentre eventuali mogli “supplementari” rappresentano relazioni basate sulla religione e – come tali – protette dalla Costituzione ma senza alcun riconoscimento pubblico.
Il giudice Waddoups ha sentenziato che non vi è alcun “diritto fondamentale” a praticare la poligamia mentre è incostituzionale proibire la religiosa coabitazione poligamica.
Jonathan Turley, un avvocato di Washington che difendeva la famiglia Brown, ha definito storica la sentenza: «L’importanza di questa decisione è che per la prima volta nella storia dello Stato, una famiglia plurale può essere pubblicamente quello che è in privato. La legge imponeva a queste famiglie di vivere come una menzogna. Queste famiglie dello Utah doveva fingere che non erano una famiglia plurale per evitare indagini e procedimenti giudiziari». Continua a leggere
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Il Cavaliere oscuro: il ricorso
I cattolici dell’associazione Uccr contro lo “stalinista” Vauro
Il blog dell’associazione cattolica Uccr (Unione cristiani cattolici razionali) dedica un articolo (a firma di Luciano Magnini) alla decisione di Vauro Senesi di lasciare Il Manifesto.
L’articolista di Uccr scrive che Vauro «ha scaricato un po’ codardamente il quotidiano comunista, in liquidazione e profonda crisi, per approdare a “Il Fatto Quotidiano”, anch’esso in crisi ma in modo meno serio».
Scrivere che Vauro sia stato codardo nel lasciare Il Manifesto è certamente esagerato. Nell’articolo stesso di Uccr si scrive che la collaborazione tra Vauro ed Il Manifesto è durata circa trent’anni ed i problemi finanziari del quotidiano sono ben noti. Il vignettista è rimasto fino a quando la sorte del giornale non è stata segnata (come sappiamo Il Manifesto è in liquidazione): cos’altro avrebbe dovuto aspettare Senesi? Forse si può definire codardo chi lascia un giornale per un approdo più sicuro (ma non credo neanche si possa definire tale una persona simile) ma non certamente chi lascia un giornale (o anche un’azienda) quando non c’è nessuna possibilità di continuare un percorso comune.
Magnini scrive anche che anche Il Fatto Quotidiano è in crisi: se Il Fatto fosse veramente in crisi c’è da chiedersi come mai sono riusciti ad organizzare una festa per i due anni del quotidiano con migliaia di lettori.