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Regionali in Sicilia: il Sud contro la mafia e gli stereotipi del passato

Rosario Crocetta, 61 anni, è stato eletto governatore della Sicilia.
Di estrazione comunista, già sindaco di Gela, un forte impegno antimafia sopravvivendo addirittura a tre attentati, cattolico ma – in contrapposizione alla dottrina cattolica – omosessuale dichiarato.

Crocetta è – assieme a Nichi Vendola – il secondo governatore italiano dichiaratamente omosessuale ed entrambi sono stati eletti in regioni meridionali in aperta smentita all’idea che le regioni meridionali siano più retrograde.
Anche Michael Day sul quotidiano britannico The Independent rileva che «lo stereotipo del macho meridionale italiano sta svanendo velocemente».

Omosessualità, lotta alla mafia e stereotipi sessuali: un intreccio di tre elementi analizzati oltre che dal The Independent anche dal Corriere della Sera e dal The Guardian.
Tom Kington sul The Guardian riporta che per Crocetta – definito «cattolico devoto» – l’Italia meridionale è soprendentemente indifferente se un politico è omosessuale: «C’è un grande rispetto per l’individuo, rendendo (il sud, ndr) meno omofobo del nord».
Sempre il quotidiano britannico rileva che Crocetta ad agosto avrebbe detto ad un intervistatore: «Dopo aver lasciato la sua prigione in Inghilterra, Oscar Wilde si rifugiò a Palermo. Considerato ciò, c’è molto che le persone devono imparare sul sud d’Italia».

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Uk: abortisce e viene condannata a otto anni di carcere da un giudice di un’associazione cristiana

Nel diritto processuale (sia civile che penale) è previsto l’istituto della ricusazione: ossia si chiede la sostituzione del giudice in un determinato processo qualora ci sia il fondato sospetto che non possa essere imparziale.
Forse è quanto avrebbe voluto fare Sarah Catt, una donna britannica di 35 anni, condannata da un giudice ad otto anni di carcere per essersi procurata un aborto nella fase finale della sua gravidanza.
Ora si è scoperto – come riporta il quotidiano The Guardian – che il giudice che l’ha condannata, Jeremy Cooke, è collegato ad un’associazione cristiana che ha condotto una campagna per leggi più restrittive sull’aborto.
La donna aveva assunto dei farmaci quando era incinta di 29 settimane per provocarsi un parto prematuro e successivamente ha assunto del veleno per avere un aborto spontaneo (al pari di quanto facevano molte donne in Italia prima che entrasse in vigore la legge 194): di tutto questo la donna si è dichiarata colpevole sebbene si sia rifiutata di rivelare dove abbia sepolto il feto.
La condanna ha suscitato un dibattito nel Regno Unito soprattutto considerando che il giudice Jeremy Cooke nella sentenza ha scritto «Non c’è nessuna mitigazione possibile in riferimento alla legge sull’aborto, qualunque punto di vista si possa prendere sulle sue disposizioni che in pratica sono, a torto, liberamente interpretate in modo da rendere possibile l’aborto su richiesta entro le 24 settimane con l’approvazione di medici registrati» lasciando intendere con quel wrongly (a torto) la sua visione sull’aborto.
Infatti il giudice Cooke è un membro della Lawyers’ Christian Fellowship (LCF) e uno dei vicepresidenti dell’organizzazione fino a dicembre 2010. Continua a leggere