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La stampa tedesca, americana e britannica sulle cose di Cosa nostra.

Matteo Messina DenaroI giornali esteri sono sempre stati attenti al fenomeno della criminalità in Italia e sulle implicazioni sulla politica e gli affari.
In passato il Washington Post aveva messo in luce gli interessi della mafia siciliana sul business delle energie rinnovabili mentre dall’Inghilterra avevano visto l’elezione di Rosario Crocetta a governatore della Regione Sicilia come la risposta del miglior Sud alla cosche di Cosa Nostra. L’agenzia Reuters aveva realizzato un’inchiesta sugli interessi della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio mentre, sempre a proposito della criminalità calabrese, il britannico Telegraph giustificava  l’euroscetticismo oltremanica proprio a causa delle “‘ndrine” calabresi. L’Independent , l’Economist ed il New York Times invece si erano soffermati ad analizzare gli interessi della criminalità nel business degli appalti pubblici.
Più recentemente Tom Kington con un articolo sul Guardian si concentra su quello che è il latitante numero uno in Italia: Matteo Messina Denaro. Un mafioso atipico con centinaia di pagine facebook in suo onore che ne esaltano il coraggio. In una di queste pagine si può leggere: «Cosa Nostra agisce per i poveri e gli oppressi cercando, a suo modo, di riparare ai torti».
Un mafioso atipico secondo Kington che crede di operare nel giusto e vede sé stesso come un filosofo, un eroe popolare ed un seduttore. Continua a leggere

Siamo calabresi ma non ‘ndranghetisti, Avvenire!

Devo fare “outing”: sono calabrese. Non mi sono mai sentito calabrese perché non penso che nascere in Calabria come in qualsiasi altra regione connoti, sia in senso positivo che in senso negativo, la persona in un certo modo. Non posso “sentirmi” calabrese perché non ho mai capito quale sia l’essenza del calabrese: non penso che i calabresi abbiano delle caratteristiche particolari che li differenziano dagli abitanti di altre regioni. Non posso dire di amare la Calabria più delle altre regioni o Paesi del mondo in cui sono stato. Non ho una feeling particolare con una persona per il semplice fatto che è nata in Calabria. Non digerisco la ‘ndujia o la classica soppressata, a casa non ho appeso quadri o fotografie che mi ricordino la Calabria, quasi tutti i miei amici non sono calabresi, parlo un orrendo dialetto calabrese sebbene il mio accento tradisca le mie origini meridionali. Non mi son mai sentito “orgoglioso” di essere calabrese perché ciò avrebbe significato che gli abitanti di altre regioni o di altri Paesi del mondo avrebbero dovuto vergognarsi delle loro origini “non calabresi”. Però – inutile negarlo – anche se non mi sento calabrese, in ogni caso lo sono o almeno così mi devo considerare in base al dizionario Treccani secondo cui è calabrese un «nativo della Calabria». C’è poco da fare, sono nato in Calabria e quindi devo considerarmi calabrese a tutti gli effetti sebbene non ci abiti da molti anni. Perciò riprendendo la mia “calabresità” sono rimasto un po’ perplesso nel leggere un articolo di Avvenire che titolava “Lo strano caso del suicidio di un dirigente. Scoperti legami con famiglie calabresi”, in merito al sospetto suicidio di Pasquale Libri, dirigente dell’ospedale San Paolo di Milano e sposato con una nipote del boss Rocco Musolino. Non capivo cosa ci fosse di male ad avere legami con “famiglie calabresi” ma – leggendo l’articolo – mi sono reso conto che le famiglie calabresi del titolo sono famiglie un po’ particolari: sono famiglie della ‘ndrangheta. Non credo sia difficile capire che essere una “famiglia calabrese” non significa affatto essere una “famiglia ‘ndranghetista”: le seconde costituiscono solamente una parte infinitesimale delle prime. Continua a leggere

Le mani della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio: inchiesta di Reuters sul comune calabrese di Rosarno

Spesso si sente parlare della “mafia del calcio” magari riferendosi ad un sistema sportivo non troppo limpido. Più raro invece leggere della ‘ndrangheta nel calcio. Mettere in luce gli interessi della criminalità calabrese nel mondo del calcio e non solo è quanto realizzato da Steve Scherer dell’importante agenzia di stampa Reuters con la sua inchiesta “Insight – Smuggling, football and the mafia”. Scherer parte del caso della Rosarnese, squadra semiprofessionale della città di Rosarno (Rc), un piccolo comune della piana di Gioia Tauro. La squadra di calcio era legata, secondo quanto hanno rivelato ex membri del clan poi diventati collaboratori di giustizia, al locale clan Pesce. I beni della cosca sono stati sequestrati dalla polizia (per un valore approssimativo di 220 milioni di euro) ed anche la squadra nel 2011 è stata posta sotto sequestro giudiziario. Il team aveva bisogno di nuovi sponsor ma nessuno si è mostrato interessato, per paura di ritorsioni, a prendere il posto della locale cosca della ‘ndrangheta. Questo ha provocato la fine della squadra che – dopo una stagione deludente – è stata sciolta.
Reuters evidenzia come il peso della ‘ndrangheta ormai sia più importante della vicina mafia siciliana. «Oggi la mafia calabrese è una forza nazionale ed internazionale. Sta fortemente inquinando l’economia e compromettendo il sistema politico. Con una squadra di calcio, la ‘ndrangheta espande sia la sua portata economica che la sua posizione politica all’interno di una comunità»: questo il pensiero di Pierpaolo Romani, giornalista, coordinatore nazionale dell’associazione antimafia Avviso Pubblico e autore del libro Calcio criminale. Continua a leggere

The Independent: il ponte sullo Stretto di Messina è un ponte verso il nulla

Il prestigioso quotidiano britannico The Independent dopo l’articolo sulla criminalità a Napoli torna a concentrarsi sulle vicende del nostro Paese: questa volta con un articolo di Michael Day sul ponte di Messina, l’opera faraonica in cantiere da decenni che dovrebbe unire la Sicilia alla Calabria.
La maggior parte degli osservatori pensa che l’opera non sarà mai realizzata eppure, pur non esistendo nulla “tra Scilla e Cariddi”, i vari progetti sono costati più di 600 milioni di euro (con cui magari si sarebbero costruiti tanti ponticelli più piccoli).
Il governo Prodi nel 2006 aveva definitivamente abbandonato il progetto ma due anni dopo Berlusconi lo rimise nell’agenda delle “grandi opere” da realizzare.
Si pensava che l’austero Monti accantonasse nuovamente il progetto di quello che molti definiscono il “ponte fantasma” ma invece il governo ha continuato a sostenere finanziariamente l’opera.
Al The Independent Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, afferma: «A vincere in questo caso è solo la lobby pro-ponte». Proprio la lobby degli affaristi, secondo Michael Day, sarebbe la spiegazione del sostegno dell’esecutivo italiano all’infrastruttura: ad essere interessati alla realizzazione sono per la maggior parte esponenti del Pdl, partito fondamentale nel sostegno al governo Monti. Continua a leggere

The Economist. Affari e criminalità organizzata: le mani sulla città

La capitale finanziaria d’Italia è niente rispetto a Reggio Calabria. Eppure, quando il consiglio comunale di Reggio è stato sciolto all’inizio del mese scorso, i pubblici ministeri milanesi hanno prontamente arrestato l’assessore lombardo alla Casa, Domenico Zambetti, con l’accusa di favoreggiamento a società controllate dalla ‘ndrangheta, la mafia calabrese. La polizia ha già arrestato 37 sospetti della ‘ndrangheta in Lombardia. Nel numero di confische di imprese e proprietà nel 2010 e nel 2011, la Lombardia è dietro solo alle regioni meridionali più note per mafia.

“La mafia è sempre stata qui. Quello che stiamo vedendo ora è l’evoluzione, con la criminalità organizzata che acquisisce sempre più aziende legali”, dice Claudio Gittardi, uno dei dodici pubblici ministeri della squadra antimafia di Milano. Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia, l’associazione degli imprenditori locali, dice che i membri non sempre sanno cosa affrontano. “I mafiosi lavorano in maniera sottile. Indossano giacche e cravatte, non portano fucili da caccia”, dice.

Nando Dalla Chiesa, professore di criminologia all’Università di Milano, consigliere del sindaco e figlio di un generale dei Carabinieri ucciso dalla mafia a Palermo 30 anni fa, è preoccupato che l’infiltrazione nell’economia italiana da parte della criminalità organizzata sia aumentata. “Tutto è negoziabile qui, tutto in vendita, e la ‘ndrangheta ha i soldi”, dice.

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La ‘ndrangheta calabrese riaccende l’euroscetticismo della stampa britannica

Si riaccende l’attenzione della stampa internazionale sugli intrecci tra ‘ndrangheta, politica e fondi comunitari. Dopo un articolo dell’8 ottobre di Rachel Donadio sul The New York Times, questa volta interviene Colin Freeman dalle colonne del britannico The Telegraph direttamente da San Luca.

San Luca è un piccolissimo comune della provincia di Reggio Calabria immerso nella vegetazione dell’Aspromonte. Per tanti anni San Luca è stato centro di sequestri di persona e tuttora è un luogo in cui molti latitanti cercano di nascondersi dalle maglie della giustizia aiutati sia dal territorio particolarmente aspro ma anche e soprattutto dalla collaborazione della popolazione locale. A dare la caccia ai latitanti sono i baschi rossi dello squadrone eliportato Carabinieri cacciatori “Calabria” (meglio noti come “cacciatori dell’Aspromonte), un reparto speciale dell’arma dei Carabinieri con sede a Vibo Valentia.

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New York Times: “La Salerno-Reggio Calabria è il simbolo del fallimento dello Stato italiano”

Sono passati 18 anni da quel maledetto 29 settembre 1994.
Nicholas Green, un bambino statunitense di sette anni, era in vacanza in Calabria con la sua famiglia. Viaggiava sulla Salerno-Reggio Calabria quando – all’altezza dello svincolo di Vibo Valentia – dei rapinatori affiancarono l’auto su cui stava viaggiando sparando dei colpi che colpirono il bambino. Nicholas venne portato all’ospedale di Messina ma morì il 2 ottobre: i suoi genitori autorizzarono l’espianto degli organi commuovendo con questa vicenda l’intera Italia.
Ovviamente ci furono molte polemiche sulle condizioni della Salerno-Reggio Calabria: un’autostrada per cui ci vuole molta fantasia per definirla tale e su cui vige il controllo della criminalità organizzata.

Dagli Stati Uniti si riaccende l’attenzione della stampa su questo importante pezzo autostradale con un articolo di Rachel Donadio sul The New York Times: “Corruption Is Seen as a Drain on Italy’s South”.
Donadio descrive l’amara realtà di un’autostrada cominciata nel 1960 e non ancora finita, una strada che spesso si restringe a due corsie con uno slalom continuo tra cantieri sempre aperti e gallerie non illuminate.
Il New York Times è molto asciutto nello scrivere che «niente rappresenta meglio i fallimenti dello Stato italiano di quanto possa fare l’autostrada Salerno-Reggio Calabria». Un’autostrada simbolo della cultura del voto di scambio alimentata dalla criminalità organizzata «che è endemica nel sud Italia» frodando lo Stato e lasciando la Calabria geograficamente ed economicamente isolata.
Donadio rimarca anche che l’A3 è un elemento di ciò che alcuni Paesi del Nord Europa temono di più: ossia sussidi e finanziamenti che svaniscono (spesso nelle mani della criminalità) senza aiutare l’Europa meridionale a svilupparsi economicamente e senza che i governi possano o vogliano fare qualcosa per contrastare questa situazione.
Il quotidiano americano sottolinea come dal 2000 al 2011 l’Italia abbia ricevuto più di 60 miliardi di dollari dall’Unione europea per finanziare progetti in ambiti come l’agricoltura e le infrastrutture: la maggior parte di questi sono stati dati per il sud d’Italia. Di questi finanziamenti è stata prodotta solamente mezza autostrada mentre la Spagna – si sottolinea – è riuscita a dotarsi di una rete ferroviaria ad alta velocità con poco più di 100 miliardi di dollari. Continua a leggere